
BHADMARI: “tutti i problemi che ho, lasciatemi ballare”
NUOVI TALENTIINTERVISTE
Gabriele Lobascio
11/5/20253 min read


Nel suo nuovo EP hola mari, BHADMARI mette in scena un mondo fatto di fragilità, ironia e caos creativo. Un diario sonoro in cui convivono rabbia e malinconia, ma anche libertà e leggerezza. Un racconto intimo e autentico che parla di solitudine, autoconsapevolezza e voglia di trasformare ogni crepa in arte.
1. Molti dei brani contenuti in “hola mari” nascono come una conversazione a porte chiuse con te stessa. C’è stato un momento, durante la scrittura o la produzione, in cui quella voce interiore ti ha sorpresa o spaventata?
Sì, più di una volta. A volte quella voce mi spaventa, perché dice cose che non ho il coraggio di dire ad alta voce. È come se, scrivendo o producendo, si aprisse una porta che nella vita reale tengo sempre chiusa. Credo che fare musica per me sia proprio questo: darmi il permesso di ascoltare quella parte nascosta, anche quando fa male o mi mette a disagio. Col tempo però ho capito che quella voce mi stava solo aiutando a conoscermi meglio. Quando passi tanto tempo da sola, sei quasi costretta a confrontarti con te stessa, a porti delle domande e a cercare delle risposte. Nelle mie canzoni parlo spesso di solitudine, ma la verità è che la solitudine ha anche un lato bello: ti insegna a capirti e, nel mio caso, a trasformare tutto in qualcosa di creativo.
2. Dentro l’EP convivono solitudine, rabbia, ironia, malinconia e la necessità di ballare: è un caos che non chiede ordine, ma verità. Quanto è importante per te accettare le crepe, anche sonore, come parte della tua identità artistica?
Tantissimo. Io non ho mai seguito la perfezione, cerco sempre di essere me stessa in ogni situazione. Le crepe fanno parte di me, anche quando provo a nasconderle. A volte sbaglio una nota o una voce è troppo sporca, ma è proprio lì che sento verità — ed è lì che mi sento nel posto giusto. hola mari è pieno di errori “belli”, di suoni “fatti male”, di momenti caotici ma autentici. Per me la musica è proprio questo: non seguire le regole. Ho provato tante volte a fare strutture più standard, più “giuste”, ma più suona male e più lo sento mio — con tutte le contraddizioni che mi porto dentro.
3. Le tue influenze spaziano tra Lorde, SOPHIE, Ralphie Coco e Laurie Anderson, ma anche Pino Daniele e Battisti: mondi lontanissimi che in te diventano un unico linguaggio. Come riesci a tradurre questi contrasti in una forma così personale e riconoscibile?
Intanto grazie per aver descritto la mia musica come “personale” e “riconoscibile”, perché è proprio questa la mia ambizione: riuscire a portare il mio mondo in questo universo infinito di pianeti. Penso che tutto quello che ascoltiamo lasci un’impronta, anche quando non ce ne accorgiamo. Non mi piace l’idea di scegliere da che parte stare, musicalmente. Mi piace mischiare, contaminare, sperimentare. Sono cresciuta ascoltando Battisti e Pino Daniele in macchina con mio papà (lo cito anche in un mio brano, “Internet”) e poi SOPHIE nel letto con le cuffie. In un certo senso, sono tutte facce della stessa medaglia: l’essenza di qualcosa di vero, che arriva dritto. Quando produco, traduco semplicemente i miei stati d’animo. Sono quasi sempre gli stessi, ma ogni volta mi danno benzina per creare qualcosa di nuovo.
4. La mascotte Amore e i tuoi video pubblicati sui social raccontano il dietro le quinte del progetto. C’è un legame tra questa dimensione auto-ironica e il bisogno di leggerezza che attraversa tutto “hola mari”?
Sì, perché se non ci scherzo sopra, mi pesa tutto troppo. “Amore” è nata per gioco, ma poi è rimasta. Mi fa ridere e mi ricorda di non prendermi troppo sul serio. Penso che hola mari abbia quella leggerezza un po’ disperata — tipo “ok, sto crollando ma almeno ballo”. Oppure, come dico in una mia cit personale: “tutti i problemi che ho, lasciatemi ballare”. È un po’ il mio modo di sopravvivere alle cose.


