Corpoceleste con “nomade”: l’orgoglio di trovarsi e scegliere se stessi

INTERVISTENUOVI TALENTI

Martina Golinucci

8/21/20255 min read

Con il suo nuovo singolo nomade, Corpoceleste ci guida in un viaggio tra ricordi, emozioni e consapevolezza di sé. Dall’adolescenza in cui ci si vergognava persino di passeggiare con i genitori, fino alla lotta quotidiana contro i giudizi altrui, la sua musica racconta la complessità di crescere e imparare a scegliere se stessi.

In questa intervista, l’artista emergente ci apre le porte del suo mondo: parla di memoria muscolare, pattern da spezzare, radici da trovare e, soprattutto, di come affrontare la vita “alla luce del sole”. Un racconto autentico, tra nostalgia, introspezione e speranza, che invita chi ascolta a sentirsi meno solo e più vero.

1. Ciao Corpoceleste, benvenuto. All’inizio del brano, pur di non perdere la persona che ami, ti autoconvinci che le persone della festa non vi stiano insultando e siano ironiche. Cosa pensi della rinuncia a se stessi e ai propri valori per non perdere una persona?

Ciao Martina e Frammenti Media, e grazie per l’intervista. Credo che, nel corso della vita, capiti un po’ a tutti di sentirsi addosso gli occhi delle altre persone, anche quando in realtà non è così. Ed è proprio questo che dico nel brano, quando parlo di quella festa. Ricordo che, quando avevo tredici – tredici! – anni, mi vergognavo di andare a passeggio con i miei genitori perché pensavo che gli altri ragazzini mi avrebbero giudicato non abbastanza fico. Spoiler: non fregava niente a nessuno, ovviamente.
Penso che, soprattutto oggi, con le nostre vite che si svolgono su due piani – quello reale e quello della vetrina online dove cerchiamo di raccontare una versione edulcorata di noi stessi – sia difficile distinguere la nostra vera identità dalla percezione che gli altri hanno di noi, o da ciò che pensiamo che gli altri pensino. Sembra quasi un gioco di parole, tanto è intricato e inutile. Insomma, la morale della favola è che l’unica cosa che so è questa: se non ti conosci, non puoi fare il cantautore. E quindi ho dovuto disimparare tutto il resto. Ci sto riuscendo.

2. Secondo te, qual è il peso dei giudizi sociali sulla libera espressione di sé? Pensi che siano un problema diffuso attualmente?

La risposta secca è sì. Io posso parlare solo per la mia esperienza, e so che ci sono ancora tante barriere tra quello che faccio e quello che credo le persone si aspettino da me. Ogni canzone è la stessa storia: produco il brano, poi ho una crisi perché penso che gli altri vogliano qualcosa di diverso, quindi lo modifico, ma alla fine non mi piace e finisco per riportarlo com’era all’inizio. Questa stessa dinamica non riguarda solo la musica, ma un po’ tutti gli aspetti della mia vita. La chiave, però, è sapere chi sei e cosa vuoi: almeno per me è così. E da lì si possono iniziare a sciogliere tutti i nodi.

3. Nel singolo, la memoria muscolare prima ti avvicina intensamente alla persona che ami, poi ti allontana da lei con repulsione. Ci spieghi questa evoluzione nella tua crescita personale?

Che bella domanda! È molto in linea con quella che sarà la direzione dell’album, in realtà. Sto scrivendo un disco sui fantasmi del passato, in cui ogni canzone è una persona, una situazione o una vicenda che hanno avuto un forte impatto sulla mia vita e che, in qualche modo, mi hanno lasciato una ferita. Si potrebbe dire, quindi, che tutto l’album parla di memoria muscolare: del riconoscere che si è sempre agito in un certo modo e che bisogna spezzare un pattern. Come dico nella canzone, “non ho mai saputo come lasciare andare”, e questo progetto dovrebbe servire proprio a questo: sfogarsi, buttare fuori tutto, per poterlo lasciare andare e ricominciare con la mente e il cuore disintossicati.

4. “Tu non hai casa / dentro sei nomade” sono i versi potenti a cui ruota attorno il brano. Ti è mai capitato di sentirti così? Qual è il segreto per uscirne?

La canzone parla a un’altra persona, in realtà, ma riflette anche come mi sentivo nel periodo in cui l’ho scritta. Passavo dalla musica all’università, accumulavo cose da fare per restare sempre impegnato e non fermarmi mai a pensare. Saltavo letteralmente da un posto all’altro e, vivendo così, alla fine della giornata capita che non sai più chi sei. Il segreto per uscirne devo ancora capirlo del tutto, ma sicuramente bisogna fermarsi e mettere radici da qualche parte. Poi si può iniziare a lavorare su di sé.

5. Nel singolo, ci sono diversi riferimenti musicali: dalla rottura dei R.E.M, al loro singolo “Losing My Religion” e allo scioglimento dei Nirvana. Come mai queste scelte? Ci racconti il tuo legame con loro?

Ho scritto tante strofe diverse per questo pezzo. All’inizio era una ballad tristissima. Credo che nel mio telefono ci siano almeno dieci versioni diverse, completamente diverse: testo, accordi, strumenti, vibe... A un certo punto – sarà stata, che ne so, la settima riscrittura – volevo assolutamente che tutto il brano parlasse di band che si sono sciolte e del perché. Mi ero fissato. Volevo addirittura chiamarlo “canzone sulle band” o “I R.E.M. nel 2011”. Poi, ovviamente, ho riscritto tutto e ho messo da parte quell’idea, ma i versi su Losing My Religion e sui Nirvana suonavano bene, quindi li ho tenuti. Vorrei avere una motivazione più profonda o una storia strappalacrime da raccontare, ma la verità è che semplicemente suonavano bene. Scusate se vi ho deluso.

6. Quali sono i vantaggi di vivere alla luce del sole abbandonando l’oscurità?

Nell’oscurità sei solo un’ombra e non puoi essere nient’altro. Alla luce del sole puoi essere chi vuoi. È molto semplice. Inoltre, secondo me, se vivi nell’oscurità non puoi essere sincero, e se non sei sincero non puoi fare il musicista. O amare una persona. O essere davvero soddisfatto di quello che fai, qualunque cosa sia.

7. “Ti ho conosciuto prima dell’esame di maturità”. Che effetto fa salutare una persona che ha caratterizzato un’epoca della nostra vita che non ci appartiene più?

Lo so che ho detto che sto imparando a lasciar andare, ma è sempre doloroso tagliare i rapporti con qualcuno. Non so se anche ad altri capita di ascoltare una canzone che sentivi sempre a sedici anni, o rivedere un film dopo tanto tempo, e sentire come una voragine nel petto che si affligge per la versione di te stesso che eri e che non tornerà più. A volte bisogna tagliare le foglie marce, anche se è doloroso, e la mia musica parla anche di questo.

8. Cosa speri che arrivi a chi ascolta “nomade”? Che ruolo pensi che possa assumere questa canzone?

Anche se nomade sembra un pezzo allegro, arioso e spensierato, vorrei che agli ascoltatori arrivasse la sostanza che contiene. Vorrei che percepissero l’autenticità che cerco di trasmettere, in questo brano e in tutto il progetto, e che magari nomade fosse solo il primo di tanti brani di Corpoceleste a finire nelle loro playlist. L’obiettivo del progetto è cercare di dare voce a quei sentimenti complessi che ti fanno sentire solo: se provi pensieri strani, complicati, confusi, e pensi di essere l’unica persona al mondo ad averli, vorrei che la mia musica potesse farti sentire meno solo.