D-Ross: “Space” è il mio universo sonoro tra Napoli, chitarra e libertà creativa

INTERVISTE

Gabriele Lobascio

9/23/20252 min read

Produttore, musicista e autore, D-Ross è una delle figure più versatili della scena musicale italiana. Dopo anni di successi tra urban, pop e colonne sonore, torna con un progetto personale che mette al centro la sua identità più autentica. “Space” è un viaggio interiore e collettivo, in cui la chitarra diventa voce narrante e Napoli una presenza viva, simbolo di comunità creativa e appartenenza. Nell’intervista, D-Ross racconta il suo rapporto con lo spazio interiore, la forza delle collaborazioni e il filo invisibile che lega tutte le sue esperienze musicali.

Intervista a D-Ross

1. In “Space” lo spazio diventa un luogo personale e sonoro. Se dovessi descrivere con un’immagine visiva il tuo spazio interiore oggi, che scena vedremmo?

Il mio spazio interiore cambia di giorno in giorno, a volte anche di ora in ora. Come tutti, ci sono momenti bui, giornate in cui l’ansia prende il sopravvento, sia per motivi personali che professionali, o anche a causa del periodo difficile che stiamo vivendo, che può essere molto pesante. Questi momenti si alternano a spiagge di colori pastello, speranze, risate e soddisfazioni. Ma alla fine, il mio rimedio è sempre la musica: la mia chitarra mi permette di esprimere le mie emozioni e trasformarle in canzoni. Oppure lavorare a un brano con un artista mi aiuta a riflettere su altre cose e ad aprire la mente.

2. Napoli nel disco non è solo un’ispirazione, ma una presenza viva e collettiva. Quanto pensi che questa idea di comunità creativa possa essere una risposta alla frammentazione della musica contemporanea?

Secondo me, la collaborazione è fondamentale: si può costruire solo con gli altri. Da soli, non si va da nessuna parte. Il mito del self-made è una menzogna; non esiste. È attraverso la condivisione e la collaborazione che si può crescere, arricchirsi e, eventualmente, raggiungere traguardi importanti.

Per quanto riguarda Napoli, nel disco non è solo un’ispirazione, ma una presenza viva e collettiva. Questa idea di comunità creativa può rappresentare una risposta alla frammentazione della musica contemporanea, perché valorizza il potere del lavoro di squadra e della condivisione di ideali e talenti, creando un senso di appartenenza e di forza collettiva.

3. La chitarra è la voce dominante di “Space”, quasi un narratore invisibile. C’è un momento della tua carriera in cui hai capito che proprio la chitarra sarebbe stata il tuo strumento identitario?

Mi sembra di averlo sempre saputo. Sono nato come chitarrista. I miei miti sono artisti come Jimi Hendrix, Jeff Beck, Jimmy Page, e i bluesmen come Albert King, B.B. King, Robert Johnson… Poi la vita mi ha portato a percorsi diversi; ho scelto di dedicarmi alla produzione, anche perché volevo essere libero di esprimermi. Tuttavia, ho sempre composto musica, e la chitarra è lo strumento che mi permette di fare tutto: comporre, esprimermi, raccontare le emozioni. È diventata il mio strumento identitario, il mio modo di comunicare più autentico.

4. Hai attraversato urban, pop, colonne sonore e ora un progetto così personale. Guardando indietro, qual è il filo nascosto che unisce tutte queste esperienze nella tua musica?

La curiosità, il bisogno di esprimermi e lo scambio creativo con gli altri sono le motivazioni principali per cui faccio musica. Sono questi motivi che mi spingono a intraprendere progetti diversi tra loro, passando dal pop all’urban, fino alle colonne sonore. Incontro persone che mi incuriosiscono, con cui si crea un rapporto di stima reciproca e nasce una collaborazione. A mio avviso, il filo nascosto che unisce tutte queste esperienze è questa continua ricerca di stimoli, di confronto e di libertà espressiva, che mi permette di evolvermi come artista in ogni aspetto della musica.