
Daria Huber e "Alieno": quando sentirsi fuori posto diventa un abbraccio collettivo
INTERVISTENUOVI TALENTI
4/25/20252 min read


C’è una magia che accade quando la musica smette di essere solo una voce e diventa un coro. È quello che ha fatto Daria con il suo nuovo singolo Alieno, trasformando la sensazione di sentirsi “diversi” in un’esperienza condivisa con la sua community. Abbiamo parlato con lei di timidezza, appartenenza, maschere da indossare e di quel filo invisibile che unisce chi si sente spesso fuori posto, ma trova nella musica uno spazio sicuro e autentico.
Intervista:
Daria, nel coro di ‘Alieno’ che hai costruito con le voci dei tuoi fan, qual è stato il contributo (una frase, un’emozione, un colore) che ti ha sorpresa di più e perché?
Sono rimasta tanto colpita dalla voce di una ragazza che mi ha rivelato di avere una grande passione per il canto e la musica ma di essere troppo timida per cantare davanti agli altri. Ho apprezzato tantissimo il fatto che abbia affrontato la sua timidezza per partecipare. E poi, in generale, sentire tutte quelle voci diverse, imperfette, vere, mi ha emozionato tantissimo. Sapere che per molti è stata un’occasione per esprimere una passione che spesso tengono nascosta mi ha reso felice. È stato come dare spazio, anche solo per un attimo, a una parte autentica di loro.
Hai trasformato la sensazione di sentirsi ‘fuori posto’ in un abbraccio collettivo: come è cambiata la tua percezione di solitudine dopo aver ascoltato tutte quelle voci insieme alla tua?
Realizzare questo grande coro mi ha permesso di capire che non siamo mai soli. Quando ho lanciato questa call sui social avevo paura non rispondesse nessuno. L’emozione che ho provato quando sono arrivate le prime email di risposta è indescrivibile, mi sono sentita ascoltata e compresa.
Se ‘Alieno’ fosse un’immagine visiva – un luogo, un simbolo, un’illustrazione – quale sceglieresti per raccontare il senso di appartenenza che hai vissuto?
Quando ho scritto “ALIENO” mi sentivo sola in mezzo a tanta gente, come se ci fosse una distanza invisibile tra me e il resto del mondo. Ma ora, a distanza di tempo, ogni volta che riascolto il brano l’immagine che mi viene in mente è quella del pubblico di un concerto. Un luogo pieno di persone tutte diverse tra loro, ma unite da una stessa vibrazione, da un’intesa unica e profonda. Un’energia collettiva che ti fa sentire parte di qualcosa, anche senza bisogno di parlare.
Nel processo di scrittura e produzione hai indossato più “maschere” della tua personalità: quale aspetto inedito di te pensi emerga maggiormente in questo singolo?
Credo che in questo brano emerga un ritratto completo di me, perché ho avuto la fortuna di indossare tutte le "maschere" che mi appartengono. C’è la parte più tecnica e meticolosa, che si riflette nella cura della produzione e delle voci, ma anche quella più leggera e ironica che viene fuori nel testo. E poi, a legare tutto, c’è il mio lato emotivo, che forse non si mostra sempre in modo esplicito, ma che accompagna ogni suono e ogni scelta.