
Eltis: “Restare autentico è l’unico modo per arrivare davvero alle persone”
INTERVISTENUOVI TALENTI
Gabriele Lobascio
10/31/20252 min read


Tra rap alternativo e contaminazioni indie, Eltis racconta la sua visione musicale: una sintesi tra due mondi che convivono dentro di lui e si fondono in un linguaggio personale e sincero.
Un dialogo tra passato e presente, tra rabbia e consapevolezza, tra appartenenza e ricerca, dove il filo conduttore resta sempre uno: l’autenticità.
Nel panorama urban italiano sta emergendo una nuova generazione di artisti che sfugge alle etichette e fonde linguaggi diversi per raccontare la realtà con sincerità e introspezione.
Tra questi, Eltis si distingue per la capacità di connettere le sonorità del rap con influenze alternative e riflessive, costruendo una narrazione personale che nasce dall’esperienza quotidiana e da un percorso di crescita costante.
La sua musica è una miscela di stili, emozioni e consapevolezze maturate negli anni — tra le strade di Roma, gli amici, le serate e una continua ricerca di equilibrio tra ciò che si è e ciò che si vuole diventare.
Intervista a Eltis
Il tuo percorso nasce dal freestyle ma oggi abbraccia il rock e il cantautorato.
Cosa ti ha spinto a unire mondi così diversi, e in che modo questa contaminazione ti rappresenta più di qualsiasi genere preciso?
Unire questi due mondi è stato abbastanza spontaneo, perché sono le sonorità con cui sono cresciuto a casa e quelle che ascoltavano maggiormente i miei amici durante le superiori.
In ogni caso mi sento ispirato da entrambi i macromondi, da cui traggo spunti sia per le sonorità che per i temi. Alla fine, però, il mio resta sempre un rap più alternativo.
Il tuo primo album “NON” raccontava una generazione in bilico tra rabbia e consapevolezza.
Guardando adesso il tuo percorso, quali parti di quel ragazzo sono rimaste e quali invece hai dovuto lasciare per crescere artisticamente?
Quello che è rimasto è la voglia di portare avanti la mia visione e le mie idee.
Crescendo si acquista più consapevolezza, quindi forse la rabbia che provo oggi è più giustificata — magari solo perché so da dove nasce e riesco a veicolarla meglio attraverso la musica.
Hai sempre messo al centro vulnerabilità e verità, senza filtri.
Quanto pesa l’autenticità nel fare musica oggi, in un contesto dove spesso si punta più all’immagine che al messaggio?
Penso che l’autenticità sia la chiave per farsi riconoscere dal pubblico e rispecchiarsi nelle persone che ti ascoltano.
Senza di essa, il contenuto perde senso: resta solo la cornice.
Oggi, più che mai, in un’epoca in cui conta più come veicoli un messaggio che il messaggio stesso, credo che l’autenticità sia fondamentale per arrivare davvero alle persone.
Quello che cerco di fare io è restare autentico e fedele a me stesso, costruendo attorno un’estetica che mi rispecchi.
Roma è stata la città che ha acceso la tua trasformazione artistica.
Cosa ti ha dato e cosa, invece, hai dovuto imparare da solo per trovare la tua voce nel caos creativo della scena romana?
Dopo anni a Roma, tra serate ed eventi, finisci per conoscere tante persone.
Devo dire che sono stato fortunato a incontrare quelle giuste al momento giusto, perché grazie a loro mi si sono aperte molte porte — e ce ne sono ancora tante altre da aprire.
Penso che nella scena romana si possa trovare la propria voce anche nel caos, ma bisogna restare sempre fedeli a se stessi: è la propria storia e unicità che, alla fine, fanno davvero avvicinare il pubblico.


