GIIN: lasciare andare come forma di rispetto

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Gabriele Lobascio

6/19/20252 min read

In un tempo in cui tutto corre veloce, lei rallenta. Mette in pausa il rumore, accende immagini precise e ti ci fa entrare. E anche quando racconta un addio, lo fa con uno sguardo sereno.

L’abbiamo intervistata per capire da dove nasce questa leggerezza profonda.

Quanto è stato difficile raccontare qualcosa di così universale senza scadere nella retorica o nel dolore eccessivo?
In realtà mi è venuto abbastanza naturale. Avevo già in mente delle immagini molto precise, che volevo raccontare: immagini in cui ognuno può riconoscersi, ma che allo stesso tempo alludono a qualcosa di più grande.
Per esempio la frase iniziale “non mi guardi più con gli occhi” mostra da subito un’immagine precisa che cela dietro la sensazione di non essere più compresi, di non riuscire a comunicare e di sentirsi lontani — che poi sono proprio i primi segnali che ti iniziano a far capire che forse è il momento di andare.
Per quanto riguarda il non sfociare nel dolore eccessivo, anche quello mi è venuto da sé. Sono già scesa a patti con il fatto che nella vita niente è duraturo e tutto cambia, e ormai non la vedo neanche più come una cosa negativa.
Anzi, lasciare andare per me è un atto di liberazione e di estremo rispetto per quello che se ne va, a cui riguardo sempre con felicità, senza alcun tipo di pesantezza. Anche perché è innecessariamente triste far diventare negativa una cosa bella solo perché è finita.

Il brano suona come una carezza acustica con anima dream-pop. Com’è nato l’equilibrio tra questi due mondi sonori, e che ruolo ha avuto Giorgio Maria Condemi nel dare forma a questa visione?
Io e Giorgio ci siamo capiti subito. Appena ha ascoltato il brano, senza bisogno di troppe parole, è riuscito a valorizzarne l’anima acustica e dream pop. Non ha imposto una direzione né lo ha stravolto: lo scheletro del pezzo era già definito, nato su quello strumming di chitarra acustica che richiama quei due mondi — probabilmente per la mia naturale inclinazione artistica. Giorgio poi lo ha rivestito perfettamente.

In un panorama musicale giovanile spesso frenetico, tu rivendichi l'importanza della lentezza e del tempo. È una scelta anche artistica, oltre che personale?
Sicuramente diventa una scelta artistica dal momento in cui la mia arte si basa sulla mia vita personale.
In generale io sono molto dell’idea che ogni cosa richiede tempo. Un po’ come il vecchio detto “chi va piano va sano e va lontano”, nel senso che è giusto prendersi il proprio tempo per compiere dei passi solidi, invece di farne tanti ma affrettati.
Ognuno ha il proprio ritmo, ma l’idea che esista una struttura da seguire a tutti i costi anche nell’arte, la trovo tossica e controproducente.

Dal palco di Sanremo Giovani a un singolo così intimo: come vivi oggi il confronto tra esposizione pubblica e la tua dimensione più riservata e introspettiva?
Anche a Sanremo Giovani ho portato un brano molto intimo, forse non la scelta più strategica.
Però io parlo di questo, la mia musica nasce dalla mia vita e dai miei pensieri, quindi è giusto farmi conoscere per questo.

La sua voce è sottile, delicata, ma non ha paura di dire la verità. GIIN torna con un nuovo singolo che parla di fine, distanza, accettazione — ma senza drammi, solo lucidità.