
GIOCATTOLI ROTTI: LE FERITE CHE RESTANO – INTERVISTA AMALIA
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3/27/20252 min read


Abbiamo fatto qualche domanda ad Amalia per parlare del suo nuovo EP, Giocattoli Rotti. Un lavoro intenso e viscerale, in cui le cicatrici del passato diventano musica e consapevolezza. Tra fragilità e forza, la sua scrittura si fa ancora più autentica e senza filtri, affrontando il dolore con lucidità e trasformandolo in un racconto sonoro potente.
Nel tuo nuovo EP Giocattoli Rotti, parli di cicatrici e ferite non ancora guarite. Come sei riuscita a trasformare il dolore in musica e in che modo questo processo ti ha aiutata a confrontarti con te stessa?
Quando vivo un’emozione intensa, più che trasformare il dolore in musica, sento il bisogno di esternarla scrivendo. È il mio modo di elaborarla e accettarla nel mio piccolo mondo interiore. Il processo avviene in modo spontaneo: la scrittura diventa un’esigenza, soprattutto nei momenti di difficoltà. Spesso non comprendo subito ciò che provo, ma nel rileggere le mie parole tutto diventa più chiaro. È il momento in cui sono più sincera con me stessa e attraverso la scrittura riesco a dare un nome ai miei sentimenti.
La title track Giocattoli Rotti sembra quasi un atto di liberazione dalle ombre che ti perseguitano. Cosa significa per te essere "fuori rotta" e come questa sensazione si riflette nel sound del brano?
Essere "fuori rotta" significa sentirsi lontani da sé stessi, dal proprio centro, disorientati, persi su strade che non ci appartengono e che, inevitabilmente, forse non portano da nessuna parte. Il brano rappresenta una presa di coscienza e questa consapevolezza si riflette anche nella struttura musicale: inizia con un’atmosfera malinconica, quasi come fosse una ballad, ma si interrompe bruscamente prima del primo inciso. È il momento della realizzazione, quel punto di svolta in cui tutto cambia. Da lì, il sound si trasforma: synth incisivi e potenti arrivano come fulmini, dando voce a questa nuova consapevolezza.
Con Giocattoli Rotti sembri abbracciare la vulnerabilità in modo profondo e senza filtri. Come riesci a mantenere equilibrio tra il condividere la tua intimità e il proteggere te stessa in un mondo che spesso è superficiale?
Quando scrivi e fai musica non puoi fingere. L’arte richiede sincerità, e aprirsi – per quanto difficile – è essenziale. Il pubblico percepisce quando qualcosa è autentico e quando non lo è. Ma soprattutto, fingere non avrebbe senso nemmeno per me: scrivere e cantare sono processi dai quali traggo beneficio in prima persona. Spesso riesco a comprendere davvero le mie emozioni solo rileggendo ciò che ho scritto. Non è tanto una questione di protezione, quanto di necessità: essere autentica è l’unico modo in cui posso esprimermi e donarmi davvero.
Il tuo EP è il seguito ideale di Pace Libera Tutti. Cosa hai imparato dal percorso di liberazione che hai raccontato nel tuo precedente lavoro, e come questo ha influenzato la tua scrittura e il tuo approccio alla musica in Giocattoli Rotti?
Ho imparato che bisogna lasciare andare chi non sa – o non vuole – restarci accanto. Ho capito che più siamo consapevoli del nostro valore, meno avremo bisogno di riempire i nostri vuoti con presenze sbagliate. Pace Libera Tutti parlava di ferite che sono riuscita a chiudere, con cui ho fatto pace. Giocattoli Rotti, invece, racconta di ferite ancora aperte, di consapevolezze più dolorose, di cicatrici che so che porterò con me per sempre. Questa consapevolezza si riflette anche nel sound: più cupo, più spinto, più viscerale rispetto al primo EP. Se Pace Libera Tutti parlava di guarigione, Giocattoli Rotti parla di quelle ferite che non si chiudono, ma con cui bisogna imparare a convivere.