KEMONIA: EMOZIONI "LOW COST" TRA R&B E HYPERPOP

INTERVISTENUOVI TALENTI

3/14/20253 min read

Il 14 marzo segna l’uscita di “Low Cost”, il primo singolo di Kemonia, un brano che trasforma le relazioni contemporanee in prodotti da scaffale: emozioni usa e getta, sentimenti a basso costo e rapporti con una data di scadenza. Attraverso un sound che mescola R&B elettronico, synthwave e hyperpop, Kemonia dipinge con ironia e profondità il panorama sentimentale attuale, tra “situationship” e legami che svaniscono con un click.

L’artista siciliana, ormai di casa a Roma, porta con sé un background poliedrico che spazia dal teatro alla fonia, passando per il sound design. La sua musica nasce dall’urgenza di raccontare le contraddizioni emotive della sua generazione, con testi che alternano leggerezza e riflessione.

L’immaginario visivo di “Low Cost” segue lo stesso concetto: il brano diventa una lattina da supermercato, un’icona di consumo che riflette la natura effimera dei sentimenti moderni. Un packaging accattivante che nasconde un contenuto pronto a essere consumato e dimenticato.

Abbiamo chiesto a Kemonia di raccontarci di più sul suo nuovo singolo e sulla sua visione artistica.

FRAMMENTI MEDIA: “Low Cost” racconta le relazioni come prodotti da scaffale, da consumare e sostituire. Qual è stata la scintilla che ti ha fatto dire: ‘Ok, devo scrivere questa canzone’?”

KEMONIA: Come spesso mi succede, “Low Cost” è figlia di ciò che accade nella mia vita quotidiana. Quando l’ho scritta venivo da un periodo nel quale stavo rimettendo insieme i pezzi, dopo circa un anno speso appresso a pseudorelazioni malfunzionanti. Quelle situazioni del tipo: “mangiamo, beviamo, dormiamo, respiriamo insieme, ci sentiamo tutto il tempo però se mi parli di relazioni scappo in Perù”. Quella tipologia, insomma.

E così, dopo aver trovato una chiusura con l’ultima cosiddetta “situationship”, mi sono trovata a pormi due grandi interrogativi: in primo luogo mi sono chiesta quali problemi avessi io per essermi accollata quelle situazioni; dopodiché ho cominciato a domandarmi sui motivi per i quali oggi è così comune scappare dai rapporti ad alto investimento emotivo. E così, una sera, dal nulla e senza preavviso, mi sono seduta davanti al computer, ho preso la chitarra e, appena un’ora dopo, avevo ritornello, prima strofa e special.

Nel brano giochi con suoni R&B elettronici, synthwave e hyperpop. Quanto è stato importante il sound per rendere ancora più forte il messaggio del testo?

Il sound per me è sempre una parte importantissima della comunicazione. Probabilmente perché tendo a costruire la produzione dei brani che scrivo esattamente mentre li sto scrivendo, perché ogni parte dell’arrangiamento ha un ruolo nel raccontare ciò che voglio dire. In “Low Cost”, ad esempio, ci sono tantissime voci e quasi tutte trattate come synth vocali.

È stata una scelta dettata dall’istinto ma, col senno di poi, mi sono resa conto che volevo risultassero artificiali perché stavo raccontando di relazioni prodotte in serie, tutte uguali. E questa sensazione che arriva dalla massa di voci-synth sui ritornelli secondo me rafforza tanto il messaggio del brano. Quando scrivo non faccio quasi mai scelte a tavolino, mi baso tanto su ciò che mi suggerisce il magma del mio subconscio (che sta sempre anni luce avanti rispetto alla mia parte razionale quando si tratta di musica).

L’immaginario Pop Art e il concept della lattina da supermercato trasformano la canzone in un’esperienza visiva oltre che musicale. Quanto conta per te l’estetica nel racconto della tua musica?

La parte visiva per me contribuisce tanto alla performance in generale. Aiuta a rendere più immediato il messaggio espresso dal brano e crea un’esperienza più completa. La trasformazione di “Low Cost” in lattina è stata graduale e frutto di un lungo brainstorming con me stessa.

Prima è arrivato il richiamo all’immaginario Pop Art, che è forse la prima vera celebrazione del consumismo raccontata in arte. Poi è arrivata l’illuminazione e ho cominciato a creare io stessa la grafica dell’etichetta della lattina, di questo “prodotto da scaffale” che rappresenta non solo il modo in cui concepiamo le relazioni nel contemporaneo, ma anche l’approccio generale che abbiamo sviluppato come ascoltatori verso i brani che escono di settimana in settimana: li consumiamo rapidamente per poi passare subito oltre.

Se “Low Cost” fosse il primo episodio di una serie, quale sarebbe il titolo del secondo? C’è già una prossima storia che vuoi raccontare?

Il secondo episodio è effettivamente già in cantiere e, se già in “Low Cost” ho tirato fuori il carattere tagliente della mia ironia, posso assicurarvi che le parole diventeranno più affilate e gli argomenti più caldi. Vi posso anticipare che mi sentirete dire tante volte la parola “panico” e che ci ballerete sopra.