Manifesto e il bisogno di appartenere, tra attivismo, fragilità e amicizia

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Gabriele Lobascio

7/2/20252 min read

I Manifesto sono un progetto a due voci, ma con un impatto corale, che parte da storie intime per arrivare alle piazze, alle comunità, alle casse acustiche di chi si cerca dentro una canzone. Li abbiamo intervistati per capire come nasce questo lavoro, e perché oggi – tra tutto questo rumore – c’è bisogno di una musica che ci guardi davvero.

Ecco cosa ci hanno raccontato.

1. Il vostro EP sembra muoversi tra diario personale e manifesto generazionale. C’è un momento preciso in cui avete capito che era il momento di raccontare tutto questo?

Quando abbiamo visto che “Zecca”, il primo singolo incentrato sul tema dell’attivismo, ha avuto una risposta forte dalle nostre amicizie strette, dalle persone che si sono legate al progetto e anche dalle piazze che utilizzavano la canzone, abbiamo capito che fosse arrivato il momento di approfondire e buttarci in quel mondo.

2. In “Revolution Camp” e “Zecca” emerge un’urgenza sociale, ma anche emotiva. Da dove nasce la vostra necessità di scrivere canzoni “militanti” ma anche vulnerabili?

La nostra necessità di scrivere canzoni militanti nasce non solo dall’essere musicisti, ma anche dal momento in cui ci siamo conosciuti: all’interno del nostro gruppo di amici si parlava spesso di queste tematiche e si viveva quell’urgenza. E, d’altronde, si parla di quello che si vive. Inoltre, nella discografia italiana attuale si percepiva proprio un buco su questa tipologia di musica. Noi abbiamo responsabilità sia come musicisti sia come persone che con la propria musica possono provare a cambiare le cose.

3. Siete in due, ma l’impatto sonoro e narrativo dell’EP sembra corale. Quanto conta il confronto tra di voi nel dare forma alle canzoni?

Tantissimo! Il nostro è un progetto non legato ad una persona singola, ma a due menti; ed è molto importante il confronto. Essendo amici nella vita, ci confrontiamo costantemente nel processo creativo: commentare le idee dell’uno e dell’altro e apprezziamo quello che ciascuno fa, affrontandolo in maniera sana.

4. La vostra musica sembra parlare a una generazione che cerca punti fermi in un mondo che cambia di continuo. Che cosa sperate resti a chi ascolta “Analisi di fase”?

Noi speriamo che le persone in primis si sentano rappresentate dai paesaggi sonori e dalle immagini che raccontiamo nei testi. Poi vorremmo provare a regalare momenti di tranquillità e serenità, facendo fare attenzione sulle piccole cose belle che circondano le nostre giornate apparentemente tristi e stressanti. E forse vorremmo cercare tramite la nostra musica di abbattere barriere imposte dalla società che oramai nel 2025 hanno perso senso.

“Analisi di fase” è più di un disco: è una conversazione aperta con chi non si sente rappresentato, con chi cerca rifugio nei versi e forza nei beat. I Manifesto ci ricordano che fare musica oggi può voler dire anche questo: creare uno spazio dove riconoscersi, condividere e sentirsi meno soli.

Nel titolo del loro EP c’è già tutto: “Analisi di fase” è uno sguardo sul presente, personale e condiviso, un modo per dare forma alle emozioni e ai pensieri di una generazione che cresce tra insicurezze, sogni e rivoluzioni possibili.