Michele Bravi: “Popolare” tra New Orleans e voglia di mescolarsi

INTERVISTE

Alessia Conti

5/30/20256 min read

Venerdì 23, è uscito il tuo nuovo singolo estivo Popolare in collaborazione con Mida. Ti va di descrivere in breve questo brano e come è nata la collaborazione

Allora, il brano nasce in realtà dopo una serie di viaggi infiniti a New Orleans che ho fatto. Io ero andato per una settimana da turista, sono tornato in Italia e tre giorni dopo sono tornato. Ed è stato così per, credo, due mesi, che ho fatto avanti e indietro mille volte. Quella città ha qualcosa che mi ha colpito. Non so spiegarlo, però non ho mai visto... Sai quando si dice “New Orleans è la città della musica”? Va bene, però che cosa vuol dire? Ecco, non lo puoi capire finché non la vivi.

C'è un’esperienza musicale che è diversa, carnale, infuocata, per le strade. Si suona tutto il giorno, tutti i giorni. C’è un senso di comunità enorme. C'è anche questo velo di esoterismo sulla musica che mi affascina tantissimo.
Quando sono tornato l’ultima volta, l’intenzione era proprio quella di cercare di recuperare un po’ quella vibrazione lì. Non so se nell’intenzione c’è, non so se nell’effettivo si sente.

Nasce anche un po’ da questo il fatto di chiamare poi Mida nel brano?

Lui nella sua voce ha una multiculturalità, lui ha il sangue latino. Io e lui siamo una coppia impensabile, il diavolo e l’acqua santa. Mi piaceva l’idea di questo contrasto infinito che si incontra in un brano.
A me i contrasti fanno sempre simpatia. Mi piaceva l’idea anche di spaesamento che si poteva creare.

Ho letto che hai scelto Mida per la sua voce calda, espressiva e potente, come detto anche per il fatto delle sue origini. In che modo siete riusciti a completarvi nel brano?

Perché abbiamo due modi diversi di intendere le cose, di dirle, di esprimerle. Lui mette vocalmente una freschezza diversa dalla mia, un’ironia diversa dalla mia. Sono due vocabolari diversi. È come se fosse un brano bilingue. Il vocabolario di Mida è il mio vocabolario, ma non trovi effettivamente il contrasto. A me quella cosa piace molto.

Prima parlavi del viaggio... Come è stato il contatto con quelle culture, le persone? Come pensi abbiano influenzato il brano anche a livello emotivo?

Emotivo tantissimo. So che quella è una città che frequenterò tanto in questi anni. Sai quando vai in un luogo che non conosci ma senti che in qualche modo ti appartiene? Non voglio appropriarmi di una cosa che non è mia, ma lì c’è qualcosa che l’Italia mi ricorda, ma è anche qualcos’altro. Si mescola.

Parlo di folklore. Quel misticismo per me è molto folkloristico. L’unione tra musica e ricerca spirituale è una cosa che mi appartiene tanto. Non so dire in che modo la contaminazione è avvenuta. Ma c’è un richiamo.

Quindi anche a livello di curiosità ti ha portato tanto? Nel senso che sei arrivato curioso e continui a scoprire?

Assolutamente. Io ero arrivato in realtà molto impreparato. Per me era la città dei film, fine. Non sapevo che tipo di cultura, mentalità, cosa aspettarmi. Quindi sono arrivato, ho scoperto un mondo che non è che mi appartiene perché sono nato lì, però è come se ci fosse dall’altra parte del mondo qualcos’altro che mi fa stare lì... Sento che vuole appartenermi in qualche modo.

Come hai vissuto le feste che si tengono lì? Sono molto diverse dalle nostre?

Sono diverse, ma non così diverse. Noi abbiamo un nostro folklore che diamo per scontato. Pensa alla Sagra di Paese — adesso sembra una battuta, ma non lo è. Che tipo di festosità abbiamo? Mi immagino un turista che arriva, la vede, e che cosa deve pensare? Vedere una cosa per la prima volta?

Per me è la stessa cosa che è avvenuta, al contrario. Arrivare lì e vedere queste feste per la strada, queste mambo che ballano insieme ai musicisti, musicisti che si aggregano fra di loro inspiegabilmente... per me è stato uno spettacolo.

Capire, osservare... quella cosa lì, la musica ti invita all’osservazione. E appunto, con il fatto che tu sei andato in un altro paese senza l’intenzione iniziale di entrare a far parte di quella cultura, però hai detto che nasceva da un’esigenza di perdersi e ritrovarsi.
Secondo te per un artista quanto è importante uscire dal proprio contesto?

Io sono un po’ sagittario in questo.
Penso che il viaggio diventi molto necessario. Ho bisogno, mi piace capire il mondo. Sono innamorato delle culture diverse dalla mia, mi piace vedere che cosa c’è in giro che io non conosco. Per me è un’esigenza naturale. Io vorrei vederlo tutto il mondo, se potessi.

Quindi proprio la curiosità di vedere il mondo... e se ti ritrovi in quella cultura, capita di scrivere un brano, di ritrovarsi appunto.

Anche non essere d’accordo con una cultura che incontro, però sapere che esiste.
Per me è affascinante vedere quanti... sai come nella musica ci sono tanti generi: pop, cantautorato, trap... qualsiasi cosa, no?
Ecco, col mondo è la stessa cosa: ci sono una quantità di generi e dico: chissà quanti non ne conosco, non sto considerando.

Il fatto di chiamarla Popolare, che celebra un po’ l’inclusività, il folklore, il fatto di persone “differenti” che si uniscono per strada casualmente... può essere anche una sorta di provocazione sul concetto di “popolare” nella musica italiana?

Ma guarda, non c’è l’accezione provocatoria nei contenuti. Però se provoca mi piace comunque. Sai che c’è questo stigma sulla musica pop?
La musica pop è la musica popolare. È la musica che parla a tutti, che tutti possono capire. È la musica che può rivolgersi a chiunque.

Per me la trasversalità è un principio fondamentale. Io sono, e sono orgogliosamente, un cantante pop. La mia musica è popolare.
Per me musica e snobismo non possono mai andare d’accordo.
Quindi la musica, per me, può solo che essere popolare.

Anche per un fattore di folklore, come dicevi... di unirsi, di inclusività. A proposito di unirsi: quanto è importante secondo te cercare di unire le persone, anche diverse, attraverso la musica?

Per me tanto. Perché è proprio il senso della popolarità.
Alla Sagra di Paese trovi chiunque, e con chiunque ti mescoli, con chiunque puoi parlare. Non mi piace mai il discorso di caste, no? Quello più intellettuale parla solo con quello più intellettuale, quello meno formato solo con chi è come lui...
A me piace la mescolanza, l’assurdità, il contrasto. Quel gioco lì per me è inevitabile.

Infatti credo che il gioco del contrasto sia stato fatto anche nel videoclip: ci sono diverse persone “popolari”, diciamo.

Sì, che non immagineresti mai nella stessa staffa insieme. Da Concita De Gregorio a Carla Bruni, al Gabibbo, capito?
Ma questo è un esercizio che faccio anche nella mia vita.

Io non frequenterei mai una persona come me. Frequentare un Michele Bravi II mi annoierebbe da morire.
Ho bisogno di capire che cosa c’è oltre di me, e completamente anche opposto a me.
Poi trovi comunque sempre delle affinità. Il fatto di avere un video con 60 amici così assurdi per me è divertentissimo.

Come ti è venuta l’idea? Hai detto: “Posso mettere insieme un tot di persone e dare a tutti gli effetti un concetto di popolare”, una cosa così?

Ma sai cos’è? In realtà, ti ripeto, è l’esercizio della mia vita tutti i giorni. Cioè, le cene a casa mia sono frequentate da queste persone.
Trovi qualsiasi cosa.
È la prima volta che rendo pubblica una cena a casa mia.

Cioè, una stanza dove tutti questi si trovano.

Popolari, sono tutte persone diverse. Ma secondo te c’è un filo rosso, un qualcosa che li unisce tutti?

È un po’ quel concetto. Sono tutte persone che hanno il mio stesso pensiero sul concetto di trasversalità.
Cioè, sul bisogno di riuscire a farsi comprendere e parlare con tutti.
Si può parlare con tutti.

Non esiste un discorso d’élite, un discorso basso, un discorso prezioso, un discorso inutile. Esiste proprio la volontà, da parte di tutte queste persone, di poter includere tutti nel discorso.

Una domanda un po’ così: se penso all’estate, alla canzone estiva, boh... spiaggia, cocktail... Quindi, se Popolare fosse un cocktail, che ingredienti metteresti?

Guarda, forse ti dico vino in scatola proprio.
È la cosa più popolare che ci può essere, da Sagra di Paese.
La cosa proprio che è l’ultima cosa che trovi ma va bene, e così voglia di festeggiare tra amici, che quella cosa lì diventa champagne, capito?

Hai detto che ti sei perso e ritrovato nell’altrove.
Cosa hai scoperto di te lontano dall’Italia, oltre al fatto che questa cultura ti piaccia? Hai scoperto qualcosa di nuovo su di te?

Ho ritrovato la voglia di raccontare anche la mia parte più superficiale, più leggera. Sai, io sono sempre legato a una musica tanto autorale, impegnata...
Cioè, dentro di me c’è anche un grande cafone che ha voglia di giocare.
Ecco, questo è il momento in cui anche nella musica trova spazio.

Quindi è un Michele più leggero.

Ultima domanda, cosa speri di lasciare a chi ascolta Popolare? Cosa speri che resti dopo l’ultima nota?

Un bel ricordo.
Cioè, mi piacerebbe che le persone ascoltassero questa canzone per dire:
“Ma ti ricordi quando l’abbiamo ascoltata in quel periodo? Che cosa stava succedendo nelle nostre vite?”
Ecco, se le persone ci chiudono dentro — chiamala estate, chiamala periodo, chiamala come vuoi — ma un momento nostalgico, mi piacerebbe.

Michele Bravi ci svela il cuore del suo nuovo singolo estivo, "Popolare", un brano nato dai viaggi a New Orleans e dalla speciale collaborazione con Mida. Un'occasione per parlare di musica senza etichette, dell'importanza di mescolarsi e di riscoprire la propria parte più spensierata.