Nyo.: “Essere seri significa restare veri, anche quando il mondo ti spinge a fingere”

NUOVI TALENTIINTERVISTE

Gabriele Lobascio

10/23/20253 min read

Con Serio, il suo singolo d’esordio uscito il 24 ottobre per Urban Records, Nyo. inaugura un percorso personale e profondo che unisce introspezione e autenticità. Dopo una vita passata tra calcio, teatro e spiritualità, l’artista bergamasco sceglie la musica come linguaggio definitivo per raccontarsi senza filtri, accettando le fragilità come parte della propria identità.
In questa intervista, Nyo. ripercorre la nascita del brano e il suo viaggio umano e artistico: dal bisogno di verità alla ricerca di equilibrio, dalla disciplina alla libertà, dalla vulnerabilità alla forza.

Intervista a Nyo.

1. “Serio” è un esordio che suona come una dichiarazione d’intenti. Quanto è stato difficile decidere di mostrarti per la prima volta senza filtri, accettando anche le tue fragilità come parte della tua identità artistica?
⁠È stato difficile, ma necessario. “Serio” nasce proprio da un punto di rottura: dal momento in cui ho capito che non potevo più fingere, nemmeno con me stesso. Mostrarsi per ciò che si è — con i difetti, i silenzi, le fragilità — è un atto di coraggio che non si improvvisa. Prima di riuscire a farlo nella musica, ho dovuto imparare a farlo nella vita. La canzone è diventata una specie di specchio, una confessione che mi ha permesso di accettare la mia vulnerabilità come parte integrante della mia forza. E una volta che ci riesci, non puoi più tornare indietro: perché in quella verità inizi davvero a riconoscerti.

2. Hai attraversato mondi diversi — il calcio, il teatro, il buddismo, la musica. C’è un filo che lega tutte queste esperienze e che oggi ritrovi nella tua scrittura?
Sì, credo che il filo che unisce tutto sia la ricerca. In ogni esperienza ho cercato qualcosa che mi aiutasse a conoscermi meglio, a crescere, a dare forma a ciò che sentivo.
Il calcio mi ha insegnato la disciplina, la costanza, il rispetto dei tempi, ma anche qualcosa di più profondo: mi ha fatto capire che, a volte, ciò che desideriamo davvero non si trova in un campo da gioco. Ed è proprio lì, in quel momento di consapevolezza, che nasce il coraggio di lasciare qualcosa per andare incontro a ciò che ci appartiene davvero.
Il teatro, invece, è entrato nella mia vita grazie a mia madre: è stata lei ad avvicinarmi a quel mondo, anche se in modo trasversale. Lì ho scoperto la libertà, la presenza, l’ascolto del corpo e delle emozioni — una forma di verità che non avevo mai conosciuto prima.
Il buddismo, poi, è diventato la mia ancora: un modo per rallentare, rilassarmi, riflettere, ma soprattutto per imparare ad aspettare e ad ascoltarmi davvero. È uno spazio di equilibrio che mi aiuta a non perdermi nel rumore.
Tutto questo oggi vive nella mia musica — che è il punto d’incontro tra disciplina, libertà e introspezione.

3. Nel brano parli di autenticità e coerenza in un tempo in cui spesso si indossa una maschera. Cosa significa per te essere “seri” davvero, oggi, in un mondo che sembra chiedere solo apparenza?
Essere “seri” per me significa avere il coraggio di restare veri, anche quando il mondo ti spinge a fingere. Viviamo circondati da immagini, filtri, versioni di noi stessi che non sempre ci appartengono. Essere seri non è prendersi troppo sul serio, ma prendersi cura di ciò che si è. Significa saper guardare in faccia le proprie paure, riconoscere la propria verità e non tradirla. È un equilibrio fragile, ma necessario. Per me la musica è proprio questo: uno spazio dove posso smettere di interpretare un ruolo e semplicemente esserci ed esistere, così come sono.

4. “Serio” è solo il primo passo di un percorso. Come immagini i prossimi capitoli di questa storia musicale? Cosa vuoi raccontare — e a chi — con la tua voce?
Ogni canzone per me è una tappa di un viaggio che non so ancora dove porterà, ma che sento di dover fare. Scrivere mi aiuta a capirmi, a mettere ordine dentro e a dare un senso a ciò che vivo. La musica è diventata il mio modo di restare in ascolto: di me, degli altri, del mondo intorno.
Non cerco risposte, cerco connessioni. Mi interessa raccontare la verità per come la sento, anche quando è scomoda o fragile. Voglio che chi ascolta possa riconoscersi in un’emozione, in una frase, in un respiro.
Penso soprattutto ai giovani, ai miei coetanei — perché credo che abbiano una forza immensa, anche se spesso la dimenticano. Io per primo ci sono passato: so cosa significa sentirsi persi, avere paura, eppure continuare a cercare. Se una mia canzone può diventare un punto d’incontro, un momento di luce o anche solo un invito a non smettere di crederci, allora sento di aver fatto la cosa giusta.