Sarafine: “Il mio show è una festa collettiva, non una performance da guardare”

INTERVISTECONCERTI & LIVE

Gabriele Lobascio

10/24/20252 min read

Dopo l’esperienza a X Factor, Sarafine ha scelto il silenzio come gesto artistico e umano. Oggi torna a raccontarsi con lucidità e libertà, nel segno di una musica che unisce elettronica, radici e autenticità.
Il suo nuovo percorso parte da una dichiarazione chiara: “Questo è il nostro show”, non solo un titolo ma un manifesto.
Con Frammenti Media, Sarafine riflette sul rapporto con il pubblico, sull’empatia nei beat, sull’identità del Sud che continua a vibrare nei suoi suoni, e sull’importanza del fermarsi per ritrovare sé stessi.

Intervista a Sarafine

1. “Questo è il nostro show” è molto più di un titolo: è una dichiarazione collettiva.
Cosa significa per te condividere il palco come spazio di libertà, e non solo di performance?

Per me significa che ho proprio voglia di far festa insieme. Se c’è una cosa che ho percepito dalla mia personale esperienza in live è che il pubblico fa totalmente parte dello spettacolo.
I miei spettacoli li ho sempre immaginati come qualcosa che non venga subito dal pubblico ma accolto e vissuto insieme.
È per me un modo per comunicare quello che ho avuto esperienza di verificare nel mio storico live: il mio non è uno show da guardare ma voglio che diventi un’esperienza che riguardi tutti quelli che partecipano.

2. Nei tuoi live la musica elettronica diventa linguaggio emotivo.
Come riesci a trasformare i beat in empatia, senza perdere la tua parte più umana?

Credo che i beat siano accompagnati da una parte più determinante che è il testo, il racconto e la storia di ogni canzone.
In questa mia prima fase artistica l’aspetto emotivo dei brani è molto influenzato dai testi.

3. Da “Malati di gioia” a “Lu rusciu de lu mare”, la tua musica unisce radici e sperimentazione.
In che modo il legame con la tua terra continua a risuonare dentro la tua produzione elettronica?

Risuona inevitabilmente ma non è una cosa veramente ricercata.
Io sento un forte senso di appartenenza all’Italia, alla Calabria, al Sud in generale, ma paradossalmente ho conosciuto questo legame quando sono andata via.
Andare a vivere all’estero mi ha aperto moltissime altre visioni.
Quindi mi sento molto il frutto di tutte le mie esperienze e non solo delle mie origini.

4. Dopo X Factor hai scelto il silenzio creativo prima del ritorno.
Quanto è importante, per te, fermarsi per ritrovare verità e non solo visibilità?

Dipende da quello che vuoi fare e da ciò che vuoi proporre.
Per me avere tempo di metabolizzare e poi lavorare a cose che mi soddisfino fino in fondo richiede tempo.
Il silenzio creativo è necessario se si vuole essere sinceri nell’espressione artistica, altrimenti resta solo un esercizio e una performance.

Io provo con tutte le mie forze ad orientare la mia vita verso una logica che allontana la performance in termini di presenzialismo e numeri, per avvicinarmi invece a un senso di pace che credo sia necessario per una vita serena e per una comunicabilità più trasparente.

Sono interessata alla sincerità e alla trasparenza: se un artista segue i suoi tempi, sono molto più curiosa di scoprire cosa ha creato in quel tempo rispetto a chi produce per rispettare delle scadenze.
Sostengo che ci sia veramente poco di interessante nell’osservare chi lavora per obiettivi di mercato, rispetto a chi segue il proprio ritmo interiore.