Sidy – “BRIXIA” e i bagagli dell’anima: «Ho capito che non è la strada difficile, ma ciò che scegli di portarti dietro»

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6/23/20253 min read

Con l’EP BRIXIA, Sidy firma un esordio che è insieme confessione e rinascita, cucendo insieme le strade di Brescia e le radici senegalesi in un racconto intimo e potente. In questa intervista esclusiva, il cantautore ci guida tra le pieghe della sua identità, del rapporto con la madre, della musica come rito di passaggio e della fragilità che si fa forza. Dalle emozioni di Sanremo Giovani a quelle più private scritte nei momenti di silenzio, BRIXIA è più di un disco: è un diario, una valigia aperta e un atto di coraggio.

“BRIXIA” racconta un’identità che si muove tra due mondi. Cosa hai capito di te stesso durante questo viaggio tra le strade di Brescia e le tue radici senegalesi?

È stato un viaggio davvero intenso, mi sono sempre raccontato con un filtro che serviva non a rivelare mai troppo, scrivevo di quanto avevo paura senza mai specificare di cosa. “BRIXIA” è stata la scusa per parlare chiaramente anche con me, ho voluto aprire l’ep con un intro che mi raccontasse dall’inizio fino ad oggi, ho capito che avevo molto raccontare, più di quello che avrei immaginato, ho unito i due mondi che per anni ho vissuto, involontariamente, come due dimensioni lontane tra loro. Ho capito che non è la strada la cosa difficile, ma i bagagli che scegli di portarti dietro.

In “Tutte le volte” hai portato un frammento del tuo mondo su un palco importante come Sanremo Giovani. Quanto c’è di Sidy ragazzo, e quanto di Sidy artista, in quel brano?

In realtà il Sidy artista e il Sidy Ragazzo sono la stessa persona, non riesco a dividere i due mondi e credo sia proprio questo a rendere le canzoni così sincere. La musica è malleabile come le emozioni durante una giornata e questo mi permette di sperimentare su più generi ma sicuramente non su più “sidy” hahahah. In “Tutte le volte” c’è Sidy, un ragazzo che parla di quanto sia difficile tenersi aggrappati a qualcuno anche quando non ci si regge più.

In una delle tracce parli del rapporto con tua madre. Che ruolo ha avuto nella tua crescita personale e artistica, e come hai deciso di tradurlo in musica?

Mia Madre mi ha saputo crescere bene nonostante le difficoltà di una vita nuova, una lingua nuova e la famiglia lontana. Ha sempre avuto il rito di prendermi da parte e parlarmi di giustizia, discriminazioni, mi parlava di cosa fosse l’etica e il modo giusto di vivere con le persone. Mi ha visto amare la musica fin da bambino, ha sempre avuto paura che seguissi un percorso così incerto e con poche sicurezze, ma gli anni passavano e lei mi ha sempre guardato camminare 4-5 passi dietro di me. Dinala Khar è una preghiera, un po’ come quelle che lei mi ha sempre fatto prima di un viaggio, dal wolof si traduce in “Ti aspetterò”, ho pensato fosse il modo migliore per farle capire che anche la saprò aspettare proprio come faceva lei.

Il tuo EP sembra un diario in cui amore, errori e crescita convivono. C’è un momento specifico della tua vita che ha fatto scattare la necessità di scrivere queste canzoni?

Quasi tutte le canzoni dell’ep le ho scritte più di uno o due anni fa, ho sempre avuto la necessità di scrivere quando il petto inizia a stringersi troppo o la testa diventa pesante. Mi capita spesso di scrivere canzoni che poi rimangono solo per me e alcuni miei amici, ma ad un certo punto, quando ci siamo detti “L’ep lo facciamo” ho ripreso ogni canzone e ci sono entrato come fosse un film, rivivere ogni emozione per trascriverla in modo più chiaro, forse è lì che qualcosa è scattato, la necessità di mettere in ordine dei bagagli sparsi, forse è solo una mia impressione, ma quando pieghi i vestiti in valigia sembrano più leggeri.