
Trilussa: "in Tuo no" il dolore come cura e la verità come destino
INTERVISTE
Gabriele Lobascio
9/11/20252 min read


Con “Tuo No” Trilussa mette a nudo una parte di sé che non cerca scorciatoie. La sua scrittura è cruda ma luminosa, capace di trasformare il peso del dolore in un linguaggio universale. Nei suoi versi convivono immagini cinematografiche e un legame profondo con la tradizione cantautorale, che però rilegge con occhi e ritmo di una nuova generazione. In questa intervista ci ha raccontato come le ferite possano diventare parole, perché le emozioni hanno bisogno di scenografie e cosa significa restare fedeli a se stessi senza smettere di sperimentare.
Intervista
1. In “Tuo No” il dolore diventa quasi una cura: qual è stato il momento in cui hai capito che trasformare le ferite in musica poteva salvarti?
“Ho capito che scrivere poteva salvarmi quando ho iniziato a dare un nome alle cose che non riuscivo a dire a voce. A volte il dolore resta muto e ti schiaccia, ma se lo trasformi in parole diventa una forma di liberazione. Per me la musica è un modo per non sprecare le ferite, di farle diventare qualcosa che parla anche agli altri.”
2. Usi spesso immagini molto visive nei tuoi testi – semafori rossi, auto ferme, tuoni. Quanto conta per te la forza cinematografica delle parole e da dove nasce questa esigenza di “vedere” le emozioni?
“Per me le immagini sono fondamentali: sono un ponte tra quello che sento e quello che chi ascolta può percepire. Nasce dal fatto che vivo le emozioni come dei piccoli film, e mi piace restituirle così, in maniera immediata e visiva. È come se le emozioni avessero bisogno di una scenografia per diventare reali.”
3. Nei tuoi brani si sente il legame con la tradizione cantautorale, ma anche la ricerca di una voce personale: quale filo invisibile ti unisce ai cantautori che hai ascoltato da ragazzo e quale invece ti spinge a staccartene?
“Il filo invisibile è l’onestà: i cantautori che ho ascoltato da ragazzo mi hanno insegnato che non serve costruire maschere, basta raccontare la verità anche quando fa male. Quello che mi spinge ad allontanarmici è la voglia di usare un linguaggio che appartenga alla mia generazione, fatto di immagini, di contaminazioni e di un ritmo diverso. Voglio portare avanti quella stessa sincerità, ma con un vestito nuovo.”
4. Se “Tuo No” fosse una scena di vita quotidiana, fuori dalla musica, che immagine racconterebbe secondo te?
“Penso sarebbe l’immagine di una persona ferma a un semaforo rosso sotto la pioggia. Intorno tutto scorre veloce, ma dentro di te il tempo sembra bloccato. È quel momento sospeso in cui capisci che il mondo va avanti, anche se tu sei rimasto indietro a fare i conti con un ‘no’.”